Clima 2020: ancora allarmi ma anche buone notizie
Alle cattive notizie sul clima ci si è un po' assuefatti. Sembrano sempre ripetersi uguali a sé stesse e a maggior ragione dopo l'anno appena passato, a causa della pandemia che ha dominato i nostri pensieri. Resta però il grande allarme dell'impatto umano sull'ambiente e sul clima globale e purtroppo l'anno da poco passato ha fatto segnare ulteriori record negativi. Ma ci sono anche delle importanti buone notizie che permettono di pensare finalmente con ottimismo.
Cominciando dalle cattive, i recenti rapporti annuali dei più noti centri di studio sul tema, hanno purtroppo decretato il 2020 come l'anno più caldo mai registrato assieme al 2016, o secondo alcuni appena sotto a quest'ultimo. E' risultato invece certamente il più caldo in Europa ed è stato contrassegnato da un drammatico surriscaldamento della Siberia e dell'Artico.
Altro dato rilevante, con 103 tempeste maggiori e 45 uragani, è stato uguagliato il record nella numerosità di cicloni tropicali a livello globale già registrato nel 2018. Particolarmente devastanti sono state diverse alluvioni in India e Cina che hanno causato nel complesso 42 miliardi di dollari di danni. Globalmente sono stati stimati 210 miliardi di dollari di danni per disastri naturali, comprendendo anche gli straordinari incendi in Australia, California e Siberia.
Si confermano poi le preoccupazioni per il degrado della biosfera in generale, causato più che dal cambiamento climatico dal ruolo invasivo delle attività umane sugli ecosistemi. Tra i vari punti a riguardo, spicca quello degli insetti. E' in atto un preoccupante e rapido calo della loro biomassa, cioè del loro numero complessivo. Uno studio, in particolare, stima, in alcune parti del mondo, una sua riduzione attorno al 70% negli ultimi 2-3 decenni, e, per avere un'idea delle conseguenze, gli insetti sono insostituibili nell'impollinazione delle piante, così come nel riciclo e nella rigenerazione della biomassa generale e dei suoli.
Tornando al clima dell'anno passato, come si può notare nell'immagine sopra, la Siberia è risultata straordinariamente più calda. Ci sono però anche alcune zone che sono risultate più fresche. In particolare quella del Pacifico orientale che è soggetta al fenomeno ciclico de la Niña che si alterna con el Niño ogni circa 3-7 anni. Si tratta di un fenomeno climatico oscillante indipendente dall'evoluzione climatica degli ultimi decenni. La prima ha un effetto di raffreddamento, il secondo di riscaldamento. Se non fosse stato per il sorgere de la Niña negli ultimi mesi, il 2020 avrebbe sorpassato anche il livello del 2016 come anno più caldo. Questo effetto raffreddante si prolungherà anche nell'anno in corso rendendo il 2021 probabilmente tra i meno caldi, sempre a livello globale, degli ultimi anni.
L'immagine qui sotto mostra invece l'andamento della temperatura globale nell'ultimo secolo e mezzo. I pallini rossi indicano, anno per anno, il valore dell'anomalia (in più o in meno) rispetto alla media del periodo pre-industriale, convenzionalmente considerato quello tra il 1850 e il 1900, corrispondente al valore zero sulla scala verticale di destra. Oggi ci troviamo quindi a un livello di 1,27 gradi oltre tale media. Se si pensa che il Trattato di Parigi del 2015 indica come soglia invalicabile quella dei 2 gradi (e auspicandone una più prudente di 1,5!) si capisce come il margine si stia drammaticamente assottigliando.
Ma non si tratta solo di margini calcolati su una media globale. Purtroppo in alcune zone si sono registrati sbalzi talmente intensi che si teme si possano innescare drastici e imprevedibili fenomeni di transizione irreversibile verso condizioni climatiche molto distanti dall'attuale. Si parla di "punti di non-ritorno" (tipping-points). In particolare sono l'Amazzonia e l'Artico le due regioni più a rischio. E cambiamenti radicali in queste due zone avrebbero certamente pesanti ripercussioni anche su scala planetaria, cambiamenti difficili da prevedere perché porterebbero i valori ambientali e climatici fuori dai margini di validità dei modelli matematici attualmente impiegati per descriverne le dinamiche.
L'immagine che segue mostra le anomalie di temperatura nella Siberia Centrale. Il picco dell'anno appena passato (+5 gradi) è drammaticamente evidente. Nella confinante Siberia Orientale, nella città di Verkhoyansk, situata a nord del Circolo Polare Artico, la scorsa estate sono stati toccati i 38 °C.
Fin qui drammatiche notizie di un'apparente accelerazione del cambiamento climatico. Nel corso del 2020, però, ci sono anche state diverse novità importanti e positive. E su più fronti. Accanto all'emergere di una consapevolezza maturata nel corso degli ultimi anni, sulla scia dei rapporti scientifici, del trattato di Parigi del 2015 e dei fenomeni estremi sperimentati dalle popolazioni in tutto il mondo, un ruolo importante l'ha avuto anche la mobilitazione operata dal movimento Fridays For Future ancora nel 2019. Questa iniziativa ha avuto un seguito talmente largo, e specie tra i giovani, da portare significative prese di posizione negli ambienti della finanza, più rapidi di quelli politici, talvolta, nel cogliere tendenze di lungo periodo. Questo aspetto è stato esplicitato da Larry Fink, presidente di BlackRock, primo gestore al mondo di fondi di investimento, nella sua lettera annuale al mondo degli affari, all'inizio del 2020. Sulla stessa lunghezza d'onda alcune banche europee hanno deciso di interrompere i finanziamenti rivolti allo sfruttamento di nuovi giacimenti petroliferi e di carbone.
Ma anche il mondo politico e istituzionale internazionale si è mosso. Il Green New Deal lanciato dalla Commissione Europea il 14 Gennaio 2020 fissa l'obiettivo della de-carbonizzazione entro il 2050. Tale obiettivo è stato rafforzato successivamente dal piano Next Generation EU (altrimenti noto come Recovery Fund) pensato in risposta alla pandemia Covid-19 ma che destina il 30% dei 1.800 miliardi messi in campo alla "transizione ecologica". E l'11 Dicembre scorso il Consiglio europeo ha raggiunto l'accordo vincolante sull'obiettivo intermedio di "riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990".
Nel corso dell'anno passato anche il presidente cinese Xi Jinping si è impegnato alla de-carbonizzazione della Cina entro il 2060. Molti altri paesi poi hanno adottato provvedimenti vincolanti nella stessa direzione: Giappone, Corea del Sud, Regno Unito, Canada, Messico, Sud Africa, ridando vita allo spirito del trattato di Parigi del 2015, che rischiava di restare lettera morta. Un altro elemento importante è costituito poi dalla vittoria elettorale, lo scorso Novembre, di Joe Biden la cui politica ambientale rappresenterà una radicale svolta rispetto a quella del suo predecessore.
E' poi di pochi giorni fa la dichiarazione di Mario Draghi, nuovo Presidente del Consiglio italiano, che il suo governo avrà "un'anima ambientalista". Inoltre il trasferimento di tutte le competenze energetiche al dicastero dell'Ambiente trasformerà quest'ultimo in un nuovo super-ministero della Transizione Ecologica. Diventano così istituzionalizzati concetti espressi da almeno 10-20 anni ma che sembravano restare confinati nelle cerchie più avanzate dell'attivismo ambientalista: e cioè politiche di ripristino e recupero degli ecosistemi e non solo della loro protezione; di nuova e prospera economia sostenibile e non solo di stop alle emissioni inquinanti; di un nuovo pensiero per una tecnologia più integrata coi processi naturali e con le comunità, piuttosto di quello tuttora dominante, rivolto all'estrazione, allo sfruttamento e al consumo delle risorse.
Siamo di fatto ad una svolta storica che solo pochi mesi fa sembrava fuori dall'orizzonte. Le cose stanno cambiando rapidamente. Non sarà tutto automatico e semplice, ma è importante che una nuova fase sia finalmente cominciata. Che ciascuno di noi dia il proprio contributo, per lo meno a livello di attenzione informata e di fiducia.
L'immagine di testa è tratta dal New York Times.
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